Antonio Gasbarrini

Negli ultimi settant’anni l’arte moderna e contemporanea non è stata di casa a L’Aquila

di Antonio Gasbarrini*

Tratteggerò alcuni aspetti della contemporaneità dell’arte a l’Aquila. In particolare su che cosa sia successo in merito nel secolo scorso. Come introduzione al mio ragionamento, suggerisco questa piccola riflessione: troppo spesso si dimentica che l’arte, ogni tipo d’arte, è sempre contemporanea al proprio tempo e, soprattutto, allo Zeitgeist, allo spirito del tempo.

Nella Firenze rinascimentale la Cupola del Brunelleschi cresceva di giorno in giorno sotto gli occhi attenti dei cittadini e nella Roma papalina il michelangiolesco Giudizio Universale stupiva papi, prelati e fedeli. Questo allineamento temporale tra opera, fruitore e spazi (non necessariamente museali o chiesastici), è stato bruscamente interrotto tra gli anni Dieci e Venti con l’avvento delle avanguardie storiche (Futurismo, Dada e Surrealismo) e nei decenni a seguire con quelle “neo”. Da una parte, l’arte, appannaggio di sofisticati intenditori collezionisti; dall’altra il popolo incolto (questo divorzio tra opera e fruitore persiste, ahimè! anche ai nostri giorni).

Se il marziano di Ennio Flaiano, anziché essere atterrato a Roma fosse venuto a L’Aquila, e, avesse fatto un giro in città per ammirare questa o quell’altra opera d’arte contemporanea, se ne sarebbe andato poi via con questa impressione: la storia dell’arte, in questa città, s’è sostanzialmente fermata agli inizi degli anni Trenta, cioè all’estetica fascista. I piccoli accenni d’architettura razionalista riscontrabili nella zona della Fontana Luminosa e dello  Stadio, o le varie sculture del D’Antino, avallerebbero questa sua conclusione. E nei decenni e decenni a seguire? Zero, zero assoluto.

Questa “retrograda” situazione si è rivelata tanto più grave se la si va a correlare a tre eventi maturati in città nell’immediato dopoguerra: la nascita del “Gruppo Artisti Aquilani” (ne accennerò dopo) e l’apertura dell’Istituto d’Arte e dell’Accademia di Belle Arti.

L’assoluta carenza di arte contemporanea, alla lunga è risultata  molto dannosa per il nuovo assetto urbanistico della città sviluppatosi in modo caotico extra moenia a partire dagli anni Cinquanta. Infatti, questo vuoto, non ha consentito lo sviluppo, nei cittadini aquilani, di una sensibilità estetica di potenziale critica radicale a ciò che di volta in volta veniva propinato da architetti, ingegneri, urbanisti, la cui stella polare può essere riassunta in una sola parola d’ordine: il brutto per il brutto, per di più “innalzato” su questa o quella faglia. In pochi hanno riflettuto come l’arte contemporanea affini il gusto, e nel suo essere ontologicamente “contro”, costituisca un insostituibile baluardo a tutte le degenerazioni  perpetrate ai danni di una “Civitas” che non è più a misura d’uomo.

Questa negativa situazione sta letteralmente esplodendo nella selvaggia ricostruzione postsismica in corso nella “stiracchiata periferia” insistente ora lungo un ampliato asse di una trentina di chilometri, dove igguardabili edifici dal cromatismo arlecchinesco e neo-baracche sorti come funghi, senza alcun legame visuale con il preesistente paesaggio, sono la quintessenza di una  “degenerazione estetica” al di fuori di ogni controllo. Di contemporaneo queste già obsolete architetture non hanno proprio nulla. Fatalità, destino? Direi proprio di no. Un solo esempio. A Pescara, città bruttissima, la modernità architettonica sta avanzando con passi giganteschi. Perché a L’Aquila non  avviene altrettanto?

Eppure la città capoluogo deve tutto il suo aulico posizionamento culturale conquistato in ambito nazionale nella seconda metà del secolo scorso, al “Gruppo Artisti Aquilani” costituitosi nel 1944. È stata proprio la passione di giovani e meno giovani artisti e  intellettuali a far rinascere, rifiorire culturalmente una città devastata dalla barbarie nazi-fascista.

Dalla Società dei Concerti guidata dall’indimenticabile Nino Carloni, ai già ricordati Istituti d’arte e Accademia di Belle Arti, al Museo Nazionale d’Abruzzo e al Teatro Stabile, c’è stato sempre lo zampino del “Gruppo Artisti Aquilani”. Il cui obiettivo primario (svecchiare la città nel campo pittorico), era raggiungibile con l’organizzazione di una serie di mostre modernizzanti, quasi a fare da pendant  alla supremazia ottocentesca ancora esercitata sugli artisti operanti in città  da un grande della pittura sociale  qual è stato Teofilo Patini.

Se questo Gruppo ha donato, e come!, energie su energie a L’Aquila, non altrettanto può dirsi nel senso inverso. Per lo più ignorati, quasi mai valorizzati. Solo sul finire del secolo scorso è stata affidata la decorazione della Sala consiliare del Comune dell’Aquila, ad uno dei suoi più prestigiosi rappresentanti: Fulvio Muzi.

Chi voglia approfondire la conoscenza del “Gruppo Artisti Aquilani” può utilmente leggere, a margine di questo intervento, un mio testo scritto e pubblicato qualche anno fa.

Tornando al tema di questo incontro, ci si sarà chiesti cosa ci proponiamo con questa iniziativa. Vogliamo che il bello, dopo l’azzeramento sismico di questa città, riemerga dal fondo delle sue martoriate macerie, trionfando nuovamente (così com’era avvenuto dopo la sua riedificazione, a partire dal distruttivo terremoto del 1703). Vogliamo ancora, con la rigorosa applicazione della Legge del 2% e con la disseminazione quindi, di opere d’arte contemporanea nel territorio e all’interno delle emergenze architettoniche, il linguaggio contemporaneo sia il lievitante e levitante pane di una fattibilissima rinascenza.

In città è disponibile il fior fiore di artisti, storici, intellettuali, docenti e via dicendo, i quali possono dare un determinante contributo per il raggiungimento del qualificante ed ambizioso obiettivo. Accanto alla plasmabilità esteticamente soddisfacente della città, occorre tener d’occhio anche la sua ricostruzione etica. L’Aquila è non solo una città “rotta”, ma anche “corrotta” a vari livelli.

Circa l’applicazione della Legge del 2%, alla totale assenza normativa regionale, si è registrata, con soddisfazione, l’apertura del Comune dell’Aquila (opportunamente sensibilizzato dal Tavolo della ricostruzione artistica) che in proposito ha emanato un’apposita delibera.

Il non nascosto raggiungimento di un altro obiettivo (l’emanazione di un’apposita legge regionale, appunto) ci ha spinto a tenere questo fondamentale incontro.  Modelli da prendere in considerazione in giro non ce ne sono poi così tanti. Il più  convincente è quello dell’Emilia Romagna, regione all’avanguardia (è il caso di dirlo) in cui oltre ad un ragionato ed esaustivo catalogo, ad un apposito convegno e alla predisposizione di un disegno di legge ad hoc, una particolare attenzione è stata data  alle opere da realizzare in ospedali e scuole, luoghi della massima socializzazione e che un legislatore oscurantista ha attualmente escluso dall’applicabilità della legge del 2%. Tutto questo prezioso materiale sarà immesso nel costruendo sito internet DUEperCENTO curato dal Tavolo della ricostruzione artistica.

Da sottolineare che ci batteremo per l’affermazione di due principi esiziali: 1) La presenza degli artisti sin nella fase progettuale del manufatto architettonico; 2) Lo spostamento dell’accento da “L’arte negli edifici pubblici” a “L’arte nei lavori pubblici”, in base al quale, ad esempio, sarà possibile dotare le decine e decine di nuove, squallide rotonde stradali con opere che salvaguardino un irrinunciabile decoro urbano.

Per concludere, a distanza di un anno dall’appello lanciato dall’Assemblea cittadina all’intera nazione e prontamente accolto e sottoscritto da Istituzioni e singoli cittadini, di strada cognitiva e ri/cognitiva ne abbiamo fatta abbastanza. Siamo solo agli inizi di un affascinante viaggio che là per là sembra utopico. Noi siamo convinti del contrario. Gli artisti, in primis, molto possono costruire in tale avvincente prospettiva.

***

Il Gruppo Artisti Aquilani e la rinascenza della città dell’Aquila nell’immediato dopoguerra

di Antonio Gasbarrini *

Pochi altri miti, come quello dell’Araba Fenice rinata dalle proprie ceneri, possono adattarsi alla città dell’Aquila, la cui più recente storia era stata listata a lutto, tra il settembre del ’43  ed il giugno del ’44, dalla barbara uccisione dei giovani Nove Martiri aquilani, dalle innocenti vittime della strage di Filetto e degli eccidi di Onna perpetrati dai nazisti grazie anche alla collaborazione di alcuni  fascisti locali. Ma proprio in quella estate del ’44, nella città finalmente liberata dal giogo della dittatura nazi-fascista, venivano poste le fondamenta della sua rinascenza grazie alla partecipata “rivolta” del Gruppo Artisti Aquilani.

In attesa che un organico studio ricostruisca scientificamente la genesi e gli esiti di quel determinante apporto, ci siamo avvalsi per la traccia della presente nota di una serie di testi nel frattempo usciti, che hanno dato conto – con le testimonianze chiarificatrici e le argomentazioni degli estensori[i] – delle ragioni che consentirono, dalla seconda metà degli anni Quaranta a quelli Sessanta, di far volare alto il nome della città nel contesto culturale italiano con il potenziamento della Soprintendenza alle Belle Arti e la nascita della Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli, dell’Istituto d’Arte, dell’Accademia di Belle Arti, del Teatro Stabile, veicoli primari istituzionali del fior fiore delle tantissime iniziative d’alta qualità promosse e organizzate in quei magici decenni nei settori visivo, musicale, teatrale, letterario e via dicendo.

Si è chiamata in causa l’Araba Fenice. Eccone lo sfondo, da cogliere nel contesto di un clima civico cambiato radicalmente nel giro di due mesi tra il 18 giugno (data della traslazione delle spoglie dei Nove Martiri trucidati in una fossa comune alle Casermette nel settembre dell’anno precedente) ed il 27 agosto del ’44 (prima riunione del Gruppo nel Liceo scientifico). Il Gruppo è fondato dagli artisti Enrico Bizzoni, Vivio Cavalieri, Amleto Cencioni, Giuseppe Centi, Pio Iorio, Francesco Paolo Mancini, Venturini Mò, Fulvio Nardis, Ennio Ponzi, Silvio Santoro (Fulvio Muzi, prigioniero in Grecia pur essendo considerato presente, aderisce a dicembre con il suo ritorno a L’Aquila).

Nello Statuto che sarà approvato nel settembre del ’46 viene subito sancito:«Il Gruppo Artisti Aquilani – Circolo d’Arte e cultura, ha lo scopo di riunire pittori, scultori, architetti, poeti, musicisti, letterati di ogni tendenza e quanti si interessano di arte e cultura in un unico sodalizio, onde promuovere in Aquila manifestazioni artistiche e culturali, arrecare incremento di studi e ricerche alla storia dell’arte, della letteratura e della musica, contribuire con operosa attività al mantenimento dell’antico primato della città di L’Aquila nel campo della vita spirituale».

 Il Gruppo Artisti Aquilani, oltre a promuovere ed organizzare mostre degli aderenti dal ’45 al ’52 (con la V mostra di quell’anno il Gruppo praticamente si scioglie), favorirà la presa di contatto con le opere ed i nomi più in voga dell’arte italiana ed europea mediante la tenuta di conversazioni, conferenze, lezioni di storia dell’arte e l’organizzazione di una serie di Rassegne che consentiranno quell’indispensabile presa di contatto, nonché di familiarizzazione, con i linguaggi e le poetiche più aggiornate, di fatto “oscurate” dall’autarchica, suicida politica “strapesana” e pseudo-culturale fascista. In proposito si pensi al grottesco  “Premio Cremona” istituito da Roberto Farinacci nel ’38  (quindi a stretto ridosso della mostra nazista di Monaco su “L’Arte degenerata”), ed i cui “temi pittorici” della prima edizione del ’39 furono “Ascoltazione alla radio di un discorso del duce” (premio A) e “Stati d’animo creati dal Fascismo” (premio B), mentre per gli anni successivi lo stesso Duce proporrà “La Battaglia del grano”, “La Gioventù Italiana del Littorio” fino al truce “Dal sangue, la nuova Europa” fissato per il IV Premio del ’43, che, a quanto ne sappiamo, per nostra fortuna non sarà tenuto. D’altronde le stesse Biennali di Venezia di quegli anni, completamente asservite all’ideologia fascista (Hitler visiterà la XIXª edizione del ’34) registreranno una svolta espositiva reazionaria, grazie anche alla supina sudditanza di quasi tutti gli artisti italiani invitati (futuristi in testa, purtroppo!), con il munifico “mecenatismo” dei consistenti premi (Premio del Partito Nazionale Fascista, Premio della Confederazione Nazionale Sindacato Fascisti Professionisti e Artisti, Premio del Ministero delle Corporazioni, Premio Mussolini, etc.) che consentiranno ad esempio, ad Enrico Pozzi, di vedere premiata nel ’30 la sua tela Squadristi.

Né le cose erano andate diversamente in ambito regionale, dove le mostre periodiche (1932-1942) del Sindacato Fascista di Belle Arti d’Abruzzo e Molise, si risolvevano in ammucchiate – fatta qualche debita eccezione – di dilettanti e “crostaroli” d’ogni risma.

Per quanto riguarda il settore dell’arte visiva in città, è lo scultore Pio Iorio, tra i fulcri portanti del Gruppo fino al 1949, a chiarire molto bene, nell’intervista rilasciata a Walter Tortoreto inclusa nel testo citato in nota, il pesante ritardo culturale accumulato durante il fascismo: «Il contributo più importante del Gruppo Artisti Aquilani fu quello di svecchiare la cultura figurativa della nostra città. Quando uscimmo noi, all’Aquila c’erano i pittori che si rifacevano a Patini, e non vedevano altro. Noi invitammo a guardare anche De Pisis, Carrà, Morandi De Chirico, a considerare la pittura nuova, sopratutto gli impressionisti francesi». Pur non essendo rivoluzionarie (l’Impressionismo dei vari Manet, Cézanne, Degas, Renoir, Monet, Pissarro aveva già esaurito la sua spinta innovativa sul finire dell’Ottocento, mentre pressoché sconosciuta agli artisti aquilani doveva essere l’esperienza delle avanguardie storiche del Futurismo, Dada e Surrealismo, verificatasi in Italia ed in Europa nei primi due decenni del Novecento), le “timide” iniziative espositive del Gruppo a cui accenneremo tra poco, causarono una scissione al suo interno con la fuoriuscita di Santoro, Cavalieri, Bizzoni, Ponzi ed altri artisti locali che nel frattempo avevano aderito. Il bel Ritratto di Pio Iorio, dipinto in quegli anni da Francesco Paolo Mancini, spentosi prematuramente in un tubercolosario romano nel ’46, è un significativo esempio di come la lezione modernista di un Manet fosse stata magistralmente assorbita ed aggiornata.

In questa prima fase di risveglio e rinascita, un ruolo importante (in termini di mediazione con la realtà culturale extraregionale), sarà svolto da Nino Carloni, Nicola Ciarletta, Remo Brindisi e dal Soprintendente Umberto Chierici, favorendo l’apertura di una sorta di corsia preferenziale per la musica e l’arte visiva. Le principali iniziative promosse dal Gruppo, protese a riagganciare alcune esperienze nel frattempo maturate in Italia ed in Europa possono essere riassunte segnalando subito il primo concerto vocale del soprano Adriana Nelli Stefanini  nella Sala Rossa del Teatro Comunale accompagnata al pianoforte dal Maestro Nicola Costarella (19/5/’45), tenuto, tra l’altro, per finanziare la I mostra inaugurata il giorno successivo ed in cui esporranno Cencioni, Centi, Cavalieri, Mancini, Muzi, Mo’, Nardis, Iorio e Ponzi. Nel febbraio dell’anno successivo il Gruppo si adopererà per l’organizzazione a L’Aquila della Mostra del disegno contemporaneo italiano a cura di Nicola Ciarletta, con opere – tra gli altri – di Afro, Brindisi, Campigli, Carrà, Casorati, De Pisis, Guidi, Guttuso, Marini, Martini, Messina, Morandi, Santomaso, Turcato e Vedova (alla mostra partecipano anche alcuni artisti del Gruppo: Giuseppe Centi, Pio Iorio e Fulvio Nardis).

Sul versante musicale, tra il ’45 ed il ’46, saranno tenuti i concerti del pianista Massimo Bogianckino, dell’Orchestra dell’Accademia di S. Cecilia (diretta nell’occasione da Goffredo Petrassi e Costarella) e del Trio di Roma.

Ma una delle battaglie più importanti condotte e vinte dal Gruppo Artisti Aquilani, puntualmente ricostruita da Ferdinando Bologna nello studio monografico dedicato a Pio Iorio (citato in nota), fu quella di affiancare la lotta intrapresa dall’architetto Umberto Chierici (Soprintendente ai Monumenti e Gallerie d’Abruzzo e Molise dal 1942) per la destinazione museale e culturale, anziché a penitenziario, del Castello Cinquecentesco, peraltro recuperato e restaurato in quegli anni, con una serie di peripezie finanziarie, proprio dall’impresa edile di “Pio Iorio e fratelli”.

Nel luglio del ’46 sarà inoltre allestita La mostra didattica di riproduzioni della pittura moderna francese avuta in prestito dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (appena riaperta sotto la direzione di Palma Bucarelli) con testo in catalogo di Nicola Ciarletta e le riproduzioni delle opere – tra gli altri – di Braque, Bonnard, Chagall, Cézanne, Degas, Derain, Dufy, Gauguin, Matisse, Miró, Mondrian, Picasso, Rouault.

In quello stesso anno, quale sezione autonoma del Gruppo e sotto l’apporto determinante di Nino Carloni, vedrà la luce la Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli”, mentre nei due decenni successivi la spinta propulsiva del Gruppo Artisti Aquilani farà sentire i suoi benefici effetti sull’apertura del Museo Nazionale d’Arte Abruzzese (1951) e della Scuola d’Arte (Scuola comunale d’Arte, fortemente voluta dal Gruppo, diventata poi statale nel ’57).

Nel vitale tessuto civile e culturale così felicemente “ridisegnato” sulle macerie di una città il cui “cervello collettivo”, per dirla con Gramsci, era stato congelato durante il fascismo, saranno innestate successivamente le altre due gemme del Teatro Stabile Aquilano (1963) e dell’Accademia di Belle Arti (1969-1970).

E l’Araba Fenice? Ai giorni nostri, tenuto conto della progressiva dilapidazione dell’ingente patrimonio lasciato in eredità dal Gruppo Artisti Aquilani, le cui rendite ideali, e non solo, sono state nel frattempo bruciate sotto più di un simulacro, sta pensando di buttarsi giù dall’albero tenendo nel becco il nido: non certo per sfracellarsi e morire definitivamente (andare contro le verità del mito è impossibile), ma per spiccare un nuovo volo secondo la versione rintracciabile ne Le Metamorfosi ovidiane: «Con atto di pietà trasporta la sua culla, che è nel contempo sepolcro paterno; raggiunge attraverso l’aria lieve, la città di Iperione, e nella sede di Iperione la posa davanti alle sacre porte»: auree, per di più, cesellate in quegli irripetibili primi anni del dopoguerra dal Gruppo Artisti Aquilani, appunto!

* Critico d’Arte – Art director Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea “Angelus Novus” – L’Aquila

[i] Tra gli apporti più significativi sul Gruppo Artisti Aquilani e sulle vicende storiche verificatesi a L’Aquila nella metà degli anni Quaranta, ci limitiamo a segnalare: AA.VV. Alternative Attuali Abruzzo ’87, testo in catalogo di Fausto Ianni, L’arte in Abruzzo dal 1944 al 1986 nelle varie aree geografiche, Mazzotta, Milano 1987; Walter Tortoreto, 40 anni per la musica, vol. I, Annuario della Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli” (1946-1986), Teramo, 1986; Ferdinando Bologna, Pio Iorio, Edizioni Textus, L’Aquila, 1998; AA.VV, Artisti & Eventi a L’Aquila 1944-1999,  a cura di Antonio Gasbarrini, Angelus Novus Edizioni, L’Aquila 1999; AA. VV., ‘900 Artisti ed arte in Abruzzo, a cura di Antonio Gasbarrini ed Antonio Zimarino, G.F. edizioni Scientifiche, Teramo 2002; Walter Cavalieri, L’Aquila – Dall’armistizio alla Repubblica 1943-1946, Edizioni Studio 7, L’Aquila, 1984.

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